Lettera Appello al Primo Ministro Etiope Dr. Abiy Ahmed Ali

Lettera Appello  

Dr. Abiy Ahmed Ali

Primo Ministro Etiope

 


Signor presidente,

 

come certamente sa, gli oltre 100 mila profughi e richiedenti asilo eritrei presenti in Etiopia si sono trovati coinvolti loro malgrado nella guerra in corso da oltre un anno. La sorte peggiore è sicuramente quella vissuta dalle decine di migliaia ospitati nei centri di accoglienza della regione tigrina, i quali – specie a Hitsats e Shimelba – sono finiti sulla linea del fuoco, patendo morti, uccisioni, prepotenze e sequestri. Le recenti bombardamenti nelle vicinanze ai campi profughi a Mai Ayni - Shire e Dedebit che hanno colpito a morte molti civili compresi rifugiati eritrei e bambini è motivo di angoscia per tutti noi. Ce ne sono però molti altri che, pur lontani dai combattimenti, hanno subito e stanno subendo tuttora trattamenti e sofferenze incomprensibili, sicuramente prive di una qualsiasi giustificazione.

Faccio riferimento, in particolare, a una numerosa serie di fermi e arresti in diverse parti del Paese ma soprattutto ad Addis Abeba. Ne sono venuto a conoscenza in seguito a diverse richieste di aiuto che mi sono pervenute direttamente o attraverso familiari delle vittime. Si tratta di persone che talvolta risultano residenti in Etiopia da anni e che si sono impegnate al massimo per integrarsi nella società che le ospita, per costruirsi una nuova vita e un futuro migliore. Gente, cioè, che si sentiva in Etiopia come in una seconda patria.

Uno degli ultimi casi è di pochi giorni fa. Mi risulta che decine di giovani profugi siano stati arrestati dalle forze di sicurezza come sospetti “ribelli tigrini” o comunque come fiancheggiatori e simpatizzanti del Tplf, nonostante in realtà non abbia mai avuto contatti di alcun genere con questa formazione politica. L’unica loro “colpa”, a quanto mi risulta, è in realtà quella di parlare il tigrino. Proprio così: alla base dell’arresto c’è in concreto soltanto che la loro lingua madre, come per moltissimi altri eritrei, è appunto il tigrino. Eppure – hanno raccontato – è bastato questo per finire sotto accusa mentre è stato necessario un lungo e doloroso iter per dimostrare la loro totale innocenza.

Ecco, casi analoghi mi risulta che ce ne siano in gran numero. C’è da ritenere che, non essendo una questione drammatica come quella ad esempio dei campi profughi citati, questo problema possa magari non essere arrivato alla sua attenzione. Ho ritenuto opportuno, allora, segnalarlo direttamente alla sua persona, sicuro che vorrà porvi rimedio, facendo liberare tutti coloro che si trovano in questa penosa condizione.

Mi rendo conto che, in una situazione drammatica come quella di una guerra, questo problema possa sembrare “minore”. Ma non credo che ci siano “problemi minori” quando si tratta comunque della vita di una persona. O meglio: di tante persone. Anzi, spesso valori e concetti alti e irrinunciabili, come la giustizia e il rispetto della libertà e dei diritti di tutti, nascono e traggono forza proprio da questioni e azioni in apparenza minori.

Confido che vorrà ascoltare questo mio appello. E la saluto con l’augurio migliore: che la guerra finisca prima possibile e che si riesca a sanare al più presto le ferite che ha lasciato e sta lasciando. Ne hanno bisogno, per un futuro di amicizia e di progresso, l’Etiopia, l’Eritrea, l’intero Corno d’Africa, dove da sempre il suo Paese svolge un ruolo fondamentale di guida ed esempio. Tenere conto di quanto le ho scritto può essere un primo passo in questa direzione.

 

Don Mussie Zerai Dr. H.C.

Roma, 10 gennaio 2022

 

 

 

 

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