Libia: Appello al Governo Italiano e all'Europa
Eccellenza Sig. Presidente,
Prof. Mario Draghi
certamente non le sfugge quanto sta accadendo a
migliaia di profughi/migranti bloccati in Libia. E’ una situazione che,
nell’indifferenza e, anzi, assai spesso con la complicità sostanziale delle
politiche europee, si trascina da anni ma che, negli ultimi mesi, ha registrato
una ulteriore escalation di violenza, orrore, violazione sistematica dei
diritti umani. Basti ricordare alcuni esempi più recenti, a conferma del fatto
che – come denunciano da sempre l’Unhcr, l’Oim e tutte le più prestigiose Ong
internazionali – la realtà libica è un autentico inferno (nei centri di
detenzione lager ma anche fuori) per un numero crescente di giovani, colpevoli
soltanto di essere stati costretti ad abbandonare la propria terra per cercare
altrove libertà, sicurezza, la sopravvivenza stessa. In una parola, la speranza
di una vita migliore e più degna.
– Tra il primo e il 4 ottobre, partendo dal sobborgo
di Gargaresh ed estendendo poi l’operazione a tutta Tripoli, le forze di
polizia libiche hanno arrestato oltre 5 mila persone, donne e uomini, come
immigrati clandestini, un’accusa che, per lo Stato libico (che non ha mai
firmato la convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati), non è una
semplice violazione amministrativa ma un grave reato penale, che comporta mesi
ed anni di carcere, in condizioni di detenzione che definire invivibili è un
eufemismo. E questi arresti di massa – come hanno denunciato diversi servizi
giornalistici e i rapporti dell’Unhcr – si sono svolti con metodi non di rado
di grave violenza, tanto che si lamenta almeno una vittima: un giovane ucciso a
colpi di arma da fuoco mentre cercava di sottrarsi alla cattura.
– L’otto di ottobre il personale di guardia nel campo
di Ghout Al Shaal, alla periferia di Tripoli, non ha esitato a sparare a
raffica, ad altezza d’uomo, per contrastare un tentativo di fuga in massa. Come
riferiscono i rapporti dell’Unhcr, ci sono stati almeno 6 morti e circa 25
feriti, di cui alcuni molto gravi.
– Dall’inizio dell’anno a oggi la Guardia Costiera di
Tripoli ha bloccato in mare – attenzione: “bloccato” e non “soccorso e salvato”
– 27.041 profughi/migranti che erano riusciti a fuggire dalla Libia,
riportandoli indietro e riconsegnandoli in gran parte alle sofferenze dei
centri di detenzione. Altri 7.865 sono
stati arrestati a terra, prima dell’imbarco o al confine meridionale e lungo le
vie che conducono alla costa. Infine, 353 sono stati riportati in Libia, su
indicazione di Tripoli, da navi commerciali che li hanno intercettati e
soccorsi in mare. In tutto, ben 35.259 persone alle quali è stato impedito di
chiedere aiuto e asilo all’Europa come era loro diritto inviolabile. Un diritto
sancito, anzi, ribadito, proprio in questi giorni da una significativa sentenza
della Corte Costituzionale che, partendo dalla vicenda di un giovane senegalese
per lungo tempo detenuto e seviziato in Libia,
ha stabilito in pratica che i migranti passati dalle prigioni libiche
vanno tutelati.
Contro tutto questo, venerdì 22 ottobre si è svolta a
Roma una manifestazione di protesta organizzata da profughi, migranti e
richiedenti asilo di fronte all’ambasciata libica. Ma tutto questo – a parte
ovviamente le specifiche responsabilità libiche – è in realtà il risultato
diretto delle politiche di chiusura e respingimento costruite con la serie di trattati
e accordi stipulati con la Libia in particolare dall’Italia ma con il totale
sostegno dell’Unione Europea e, dunque, con precise responsabilità anche di
Bruxelles, oltre che di Roma. Mi riferisco, ad esempio, al memorandum Italia-Libia
sottoscritto nel febbraio del 2017. O alla conseguente fornitura di fondi,
mezzi, navi, addestramento e assistenza alla Guardia Costiera e al Governo di
Tripoli. O, ancora, alle “garanzie” italiane per l’istituzione della zona Sar
libica, operativa dal giugno 2018 e formalmente riconosciuta nonostante Tripoli
non abbia alcuno dei requisiti necessari per gestire, coordinare e condurre
operazioni di ricerca e soccorso in mare, tanto da alimentare il sospetto che
le direttive e le disposizioni operative siano emanate in realtà dalla Marina
italiana e dall’agenzia Frontex.
E’ quanto mai necessaria, allora, una revisione
radicale della politica condotta finora dall’Unione Europea nelle linee
generali e dai singoli Stati nello specifico. Perché va benissimo respingere,
come è stato fatto, la richiesta di finanziamenti per costruire barriere alla
frontiera avanzata da ben 12 Stati Ue. Ma – a parte il fatto che in questi anni
l’Europa ha già costruito oltre 1.200 chilometri di valli confinari di cemento e
filo spinato – i “muri” costituiti da una politica di rigida chiusura sono
altrettanto se non addirittura più crudeli e letali di quelli fisici fatti di
lame acuminate d’acciaio.
Il primo passo di questo cambiamento non può che
essere un monito deciso alla Libia perché ponga fine alle violenze e chiami i
responsabili a risponderne in giudizio. E, soprattutto, perché rispetti
finalmente i diritti umani fondamentali dei migranti, tanto più che la recente
ondata di arresti si profila come la premessa per un rimpatrio forzato di
massa, senza considerare che per tantissimi questa decisione significherà la
riconsegna alle situazioni di pericolo e crisi estrema da cui sono fuggiti. La
soluzione vera e definitiva, tuttavia, è l’abbandono e il superamento della
politica di chiusura e respingimento condotta ormai da anni da parte
dell’Unione Europea e in modo particolare dell’Italia. Politica che, a partire
quanto meno dal Processo di Khartoum (2014) in poi, ha eletto la Libia a “gendarme
del Mediterraneo”, con il compito specifico di bloccare i migranti che lanciano
il loro grido d’aiuto alla nostra democrazia. Un blocco da attuare ad ogni
costo, condotto spesso con violenze e respingimenti collettivi indiscriminati
e, comunque, a prescindere dalla sorte che attende le migliaia di disperati
confinati al di là del muro della Fortezza Europa. In una parola, in aperto
contrasto con il diritto internazionale, con la “legge del mare” e, per quanto
riguarda specificamente l’Italia, con la sua stessa Costituzione Repubblicana.
Grazie per l’attenzione che avrà voluto dedicare a
queste righe. Cordiali saluti,
don Mussie Zerai Dr. Theol. H.C Roma, 22 ottobre 2021
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